Quello che emerge dal Living Planet Report 2024 del WWF è davvero drammatico e preoccupante. Alcuni ecosistemi, come quelli di acqua dolce, hanno subito perdite drastiche, mentre regioni come l’America Latina hanno registrato una perdita del 95% della biodiversità. Ma c’è ancora una speranza, se agiamo subito: le azioni intraprese nei prossimi cinque anni saranno decisive per invertire questo trend e salvare il nostro pianeta
La Zoological Society of London (ZSL) è un’organizzazione globale di ambientalisti che si batte per salvare gli animali sull’orlo dell’estinzione e quelli che potrebbero essere i prossimi.
Si occupa della realizzazione del Living Planet Index (LPI), un’analisi che riporta la variazione percentuale media delle dimensioni delle popolazioni di vertebrati monitorate in tutto il mondo e ci dice come stanno le specie.
I risultati dell’LPI sono diffusi ogni due anni nel Living Planet Report (LPR) del WWF, un’importante pubblicazione scientifica sullo stato del pianeta, sulle problematiche da affrontare e sulle relative soluzioni.
Il quadro che emerge dal Report del 2024 è a dir poco drammatico, considerando che l’analisi prende in esame circa 35.000 popolazioni di 5.495 specie di vertebrati dal 1970 al 2020: il risultato è un calo del 73% nel numero medio delle popolazioni globali di vertebrati selvatici monitorati.
Ma qual è la causa dello strabiliante calo dimostrato dal Living Planet Report? Purtroppo, e ovviamente, è l’uomo! Sia in maniera diretta, attraverso lo sfruttamento eccessivo legato al nostro sistema alimentare o alla distruzione degli habitat, che in maniera indiretta, con il cambiamento climatico generato dall’inquinamento che noi stessi produciamo.
Possiamo citare tra le cause anche alcune patologie e la diffusione di specie invasive, ma non sono paragonabili all’operato umano per gli effetti provocati sull’ambiente e sugli esseri viventi.
Gli ecosistemi marini sembrano essere quelli intaccati meno da questo trend, pur registrando un calo del 56%, mentre quelli terrestri fanno registrare un notevole -69%.
Quella che preoccupa di più è senza dubbio la situazione degli ecosistemi di acqua dolce, dove notiamo un calo netto dell’85%.
Le regioni più colpite sono invece i Caraibi e l’America Latina con una perdita media addirittura del 95% di biodiversità.
Quelli mostrati dal Living Planet Index non sono dati “vuoti”, bensì sono la testimonianza del fatto che il nostro pianeta, e anche l’umanità, è arrivato molto vicino a un punto di non ritorno e sta gridando aiuto, come spiega Alessandra Prampolini, direttrice generale del WWF Italia: “Il sistema Terra è in pericolo, e noi con lui. Il Living Planet Report ci avverte che le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti.
“Le decisioni e le azioni dei prossimi cinque anni segneranno il futuro della nostra vita sul pianeta. La parola chiave è trasformazione: dobbiamo cambiare il modo in cui tuteliamo la natura, trasformare il sistema energetico, il sistema alimentare – che è uno dei motori principali della perdita di biodiversità globale – e il sistema finanziario, indirizzandolo verso investimenti più equi e inclusivi”.
A detta degli esperti non si tratta (per fortuna) di una partita già conclusa, ma ci giochiamo tutto veramente da qui al 2030. I punti più critici, su cui c’è urgenza di iniziare a lavorare, sono il deterioramento delle barriere coralline e la distruzione della foresta amazzonica, che proprio nel 2024 hanno raggiunto livelli di allarme mai registrati prima, per quanto riguarda il fenomeno dello sbiancamento di massa relativo alle barriere coralline e degli incendi che affliggono il polmone verde del pianeta.
Se non viene fermata in tempo, questa tendenza avrà ripercussioni enormi in tutto il mondo e porterà alla perdita irreversibile di ecosistemi sani, di aria e di acqua pulite, e di cibo.
Fortunatamente ci sono anche dati positivi che arrivano ad esempio dal monitoraggio dei gorilla di montagna, la cui popolazione aumenta del 3%, e del bisonte europeo, che è tornato a popolare l’Europa centrale. Ma è comunque troppo poco rispetto al disastro generale.
L’unica soluzione è agire ora, prima che sia troppo tardi, come ci ricorda Kirsten Schuijt, direttrice generale del WWF Internazionale: “Nonostante la situazione sia disperata, non abbiamo ancora superato il punto di non ritorno. Disponiamo di accordi e soluzioni globali per portare entro il 2030 la natura sul percorso di ripresa, ma finora ci sono stati pochi progressi sia in termini di risultati che di urgenza. Le decisioni e le azioni intraprese saranno cruciali per il futuro della vita sulla Terra.
“Abbiamo nelle nostre mani il potere – e l’opportunità – di cambiare la rotta. Se agiamo ora, possiamo rigenerare il nostro pianeta vivente.”
In apertura: Le barriere coralline sono tra gli ecosistemi maggiormente danneggiati dagli effetti del cambiamento climatico, dall’inquinamento e dalla distruzione operata dall’uomo.
Tutte le foto: IPA
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